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Il Volto della Follia
Blake Pierce


Un Thriller di Zoe Prime #4
“UN CAPOLAVORO DEL THRILLER E DEL MISTERO. Blake Pierce ha svolto un lavoro magnifico nella caratterizzazione di personaggi così accuratamente descritti da un punto di vista psicologico che possiamo calarci nelle loro menti, seguire le loro paure e gioire dei loro successi. Ricco di colpi di scena, questo libro vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (re Il Killer della Rosa) . IL VOLTO DELLA FOLLIA è il volume #4 di una nuova collana di romanzi thriller incentrati sull’FBI ad opera dell’autore bestseller secondo USA Today Blake Pierce, il cui bestseller #1 Il Killer della Rosa (Volume #1) (download gratuito) ha ricevuto oltre 1,000 recensioni a cinque stelle. ? L’Agente Speciale dell’FBI Zoe Prime soffre di una rara condizione che le dona anche un talento unico: quello di vedere il mondo attraverso una lente di numeri. I numeri la tormentano, rendendola incapace di relazionarsi agli altri e facendole avere una vita sentimentale deludente, ma le permettono anche di vedere schemi che nessun altro agente dell’FBI è in grado di vedere. Zoe tiene segreta la sua condizione, in preda alla vergogna e alla paura che i suoi colleghi possano scoprirla… Ne IL VOLTO DELLA FOLLIA, un serial killer davvero terribile sta prendendo di mira le donne nello stato natale dell’Agente Speciale dell’FBI Zoe Prime, il Nebraska, usando metodi che ricordano quelli di Ted Bundy. Zoe vede tutti i numeri, ma per la prima volta nella sua vita, non le sono d’aiuto. Questo assassino potrebbe essere spinto da ragioni umane e sociali, qualcosa che Zoe fatica a comprendere. . Si tratta del caso che dimostra i suoi limiti?. O c’è uno schema per qualsiasi cosa? persino per le interazioni sociali?. E mentre Zoe ingaggia una dura battaglia contro i suoi demoni, la decisione di far visita alla sua disastrosa famiglia la condurrà definitivamente al punto di rottura?. Thriller ricco di azione dalla suspense al cardiopalma, IL VOLTO DELLA FOLLIA è il volume #4 di un’avvincente nuova collana che vi terrà incollati alle pagine fino a notte fonda..





Blake Pierce

IL VOLTO DELLA FOLLIA




IL VOLTO




DELLA




FOLLIA




(Un Thriller di Zoe Prime—Volume 4)




B L A K EВ В  P I E R C E




TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI


ANTONIO CURATOLO



Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.



Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com (http://www.blakepierceauthor.com/) per saperne di piГ№ e restare informati.








Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright Alexey Godzenko, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.



LIBRI DI BLAKE PIERCE




LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)


THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

IL VOLTO DELLA FOLLIA (Libro #4)


LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)


I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)


I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)


I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)


GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)


I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)


UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE


UNA LEZIONE TORMENTATA




I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)


I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)


I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)




CAPITOLO UNO


Zoe lasciò che i suoi occhi vagassero sul logoro bracciolo della poltrona che ormai conosceva bene. Il pellame era screpolato in diversi punti a causa delle molte mani e dita che l’avevano afferrato e stretto, un fatto che solitamente le avrebbe mandato su di giri il cervello, inducendolo a fare calcoli e individuare schemi. La sua peculiare capacità, il potere di vedere i numeri dappertutto, spesso era stata un ostacolo piuttosto che un aiuto. Ma in questo momento, mentre osservava il pellame, riusciva a vedere soltanto una poltrona e non un’equazione.

Distolse lo sguardo, concentrandosi nuovamente sul presente e sulla domanda che le era stata posta. “Non vedo l’ora che arrivi questa sera,” disse, sorridendo alla dottoressa Lauren Monk, la sua psicologa. La donna aveva cambiato acconciatura da poco, tagliando i suoi capelli in una frangia scura che sormontava i suoi occhi altrettanto scuri. Le donava. Sembrava più giovane di cinque anni.

“Parlami dei tuoi programmi,” disse la dottoressa Monk. Aveva la inclinato la testa, appoggiandola a una mano, e stava studiando attentamente la sua paziente. Zoe non aveva potuto fare a meno di notare che il suo taccuino era rimasto chiuso per tutta la durata della seduta, e la penna penzolava pigramente tra le sue dita.

“Farò qualcosa che non ho mai fatto prima,” rispose Zoe, avvertendo un leggero rossore sulle guance per l’emozione. “Un’uscita a quattro. Io e John, insieme a Shelley e suo marito.”

“Ritieni di non essere in grado di cavartela in una situazione del genere?”

“Sì.” Zoe annuì, consapevole che fosse proprio quella la verità. Non soltanto per l’aiuto ricevuto dalla dottoressa Monk, ma anche perché era finalmente arrivata a fidarsi di John dopo essere uscita con lui per mesi. Shelley, la sua collega, aveva anche dimostrato più e più volte di poter supportare Zoe ogni volta che ne avesse bisogno. “Gli esercizi che mi ha insegnato stanno tenendo a bada i numeri. Non credo che ne verrò travolta. Non stavolta.”

Le labbra della dottoressa Monk si sollevarono leggermente mentre Zoe parlava, come se avesse sentito qualcosa che l’aveva resa estremamente felice. Aveva un neo di bellezza un centimetro sopra il lato destro della sua bocca, e anche quello saltò su. Con un gesto plateale, posò il taccuino sulla scrivania, sistemandovi sopra ordinatamente la penna. “Zoe, sto per dirti una cosa, e ti prego di non prenderla nel verso sbagliato,” disse. La sua espressione era colma di gioia repressa, come se non volesse mostrare quanto fosse felice. “Credo che sia giunto il momento di smettere di vederci.”

Zoe inarcò un sopracciglio. “Crede che dovrei andare da un altro terapista?”

La dottoressa Monk scoppiò a ridere. “No, Zoe. Cosa ti ho appena detto a proposito di non prenderla nel verso sbagliato? Credo che tu non ne abbia proprio più bisogno.”

“Abbiamo… abbiamo finito?”

La dottoressa Monk le rivolse un cenno di conferma. “Non hai più bisogno di me.”

Zoe guardò la stanza che la dottoressa Monk usava per le sedute di terapia: i certificati incorniciati in legno nero sulle pareti, le mensole piene di libri di psicologia, il vaso con la pianta nell’angolo. Venne colpita da un’improvvisa fitta di nostalgia, una cosa che non provava spesso: in fin dei conti era lavorava nell’FBI, e non trascorreva troppo tempo in un luogo prima che il caso fosse risolto. Invece quella era la sensazione di andar via definitivamente. “E se ricominciassi a perdere il controllo?”

La dottoressa Monk si sporse in avanti, mettendo la propria mano su quella di Zoe, che era posata sul bracciolo della poltrona. “Se mai dovessi aver bisogno nuovamente di me, ti basterà chiamare e fissare un appuntamento. Sarai sempre sulla lista dei miei pazienti. Ma questa è la nostra ultima seduta ordinaria.”

Zoe annuì, lasciandosi travolgere da quella consapevolezza. Aveva finito con la terapia. Non ne aveva più bisogno. Si era seduta per molti mesi su questa poltrona e si era impegnata moltissimo per cercare di cambiare. Sentirsi dire che, alla fine, ne era uscita vittoriosa, in realtà era soltanto una conferma. Nel profondo, sapeva di aver avuto la meglio sugli aspetti più aspri della propria mente; li aveva domati, ammaestrati.

Rivolse nuovamente un’occhiata alla stanza, un piccolo test di autodiagnosi. I numeri erano ancora lì, ogni volta che lo desiderava. Riuscì a capire a colpo d’occhio che c’era un libro in meno sulle mensole: forse la dottoressa Monk lo aveva preso per leggerlo o lo aveva prestato a qualcuno perché lo studiasse. Sapeva che le librerie erano alte due metri e tredici centimetri, e che con ogni probabilità la dottoressa Monk doveva salire su qualcosa per raggiungere i volumi riposti più in alto.

Ma quando guardГІ di nuovo, stavolta concentrandosi per restare calma, vide soltanto una libreria con molti libri. Proprio come chiunque altro.

Avvertì le proprie labbra sollevarsi automaticamente. Un sorriso, sincero e naturale, qualcosa che faceva raramente. Si sentiva più forte che mai. O meglio, si sentiva più pronta per qualsiasi cosa si fosse presentata sul suo cammino.

“Grazie, dottoressa Monk,” disse, alzandosi e porgendole una mano.

La dottoressa la accolse, stringendola più forte per un istante e sfoggiando un sorriso colmo d’orgoglio, quindi l’accompagnò alla porta.

“La prego di non prenderla nel verso sbagliato,” disse scherzosamente Zoe mentre apriva la porta. “Ma spero di non doverla rivedere per molto tempo.”

La dottoressa Monk le rivolse un luminoso sorriso. “Idem,” disse, chiudendo la porta con una risata.

Zoe raddrizzГІ le spalle. Le vittorie personali andavano festeggiate. Quindi era un bene che avesse un posto speciale in cui andare.


***

Zoe bussò a un’altra porta, diverse ore più tardi e in una zona diversa della città. Nonostante le parole di supporto della dottoressa Monk, adesso si sentiva nervosa e agitata, e all’apparenza le sue mani non volevano saperne di restare ferme. Continuava a contorcere il manico della borsa tra le mani, attorcigliando il sottile nastrino in un verso e poi nell’altro.

Il corpo ancora magro della dottoressa Francesca Applewhite era avvolto in una comoda vestaglia, e i capelli scuri e striati di grigio del suo ordinato caschetto si mossero dapprima verso l’alto e poi verso il basso mentre squadrava Zoe dalla testa ai piedi. “Zoe,” disse, cercando palesemente di scegliere con cura le proprie parole. “Non ti aspettavo. Sei incantevole. Ma, ehi… cos’hai fatto agli occhi?”

Zoe fece una smorfia e abbassò lo sguardo. Sapeva di non esserci riuscita. “Mi serve il suo aiuto,” disse tristemente.

La dottoressa Applewhite fece subito un passo avanti, prendendola per il gomito. “Certo, mia cara. Entra, entra pure.”

Zoe seguì la propria beneamata mentore nella sua confortevole casa. Le pareti del corridoio erano tappezzate di risultati incorniciati: sia la dottoressa Applewhite che suo marito erano professionisti affermati, e sebbene non avessero mai avuto figli, gli attestati e i premi parlavano di carriere accademiche e vite vissute al servizio della ricerca.

“Non l’ho mai fatto prima d’ora,” piagnucolò Zoe, odiando quel suo stesso tono di voce così sconfitto e acuto. “Pensavo fosse più facile. Ho guardato dei tutorial su YouTube per capire come fare, ma …”.

La dottoressa Applewhite si fermò, voltandosi per mettere una mano sulla spalla di Zoe mentre la guidava in direzione del bagno. “Non preoccuparti. È una cosa semplice. Ti darò una sistemata. Serata importante, eh?”

“Serata romantica,” disse Zoe, sentendosi già meglio all’idea di ricevere aiuto dall’unica persona che c’era sempre stata quando lei ne aveva avuto bisogno.

Nonostante non fosse proprio l’unica. Conosceva Shelley da un tempo relativamente breve rispetto alla dottoressa Applewhite, ma anche lei non l’aveva mai delusa. Anche quando Zoe si era infuriata con la sua partner per delle presunte mancanze di rispetto, in seguito aveva sempre dovuto ammettere quanto fossero giuste la scelte compiute da Shelley. Qualche mese fa, quando avevano lavorato insieme per catturare un serial killer che prendeva di mira le persone che avevano tatuaggi commemorativi dell’Olocausto, Shelley si era fidata della scelta di Zoe di concentrare tutte le risorse a loro disposizione nella ricerca dell’assassino, nonostante avessero già un sospettato in custodia. Aveva funzionato, e adesso erano più in sintonia che mai, agendo istintivamente per risolvere i loro casi e fidandosi tacitamente l’una dell’altra.

A pensarci bene, anche John non l’aveva mai delusa. Era sempre il primo a presentarsi, spesso restando ad  aspettarla. Non si era mai sentito frustrato né si era arrabbiato tutte le volte in cui Zoe aveva dovuto annullare un appuntamento perché era stata richiamata in servizio dall’altra parte del paese, anche quando questo capitava all’ultimo minuto.

In qualche modo, gradualmente e senza accorgersene, Zoe era riuscita a circondarsi del genere di persone sulle quali potesse contare.

“Ok, siediti sul bordo della vasca,” disse la dottoressa Applewhite, facendo entrare Zoe in un bagno rivestito in marmo bianco e dirigendosi verso un armadietto apparentemente pieno di trucchi e prodotti per la cura della pelle. Tirò fuori una bottiglietta di qualcosa che capovolse su un batuffolo di cotone, un movimento rapido ed esperto.

“Cos’ha intenzione di fare?” domandò Zoe, squadrando la bottiglia con apprensione. Tutto questo andava al di là della sua normale comprensione. Non era mai stata il genere di donna che cercava di apparire carina. I suoi capelli castani erano tenuti corti per comodità, e tutto aveva a che fare con il lavoro. Sostanzialmente. Vestiti semplici e comodi da indossare, scarpe basse per correre. Un viso pulito, perché il più delle volte doveva scattare nel giro di secondi e la pioggia avrebbe potuto farle entrare il mascara negli occhi proprio mentre stava inseguendo un sospettato. Il settore della bellezza le era estraneo, a parte qualche esperimento fatto al college che non era mai andato a buon fine.

“Piega la testa all’indietro e chiudi gli occhi,” disse la dottoressa Applewhite. Zoe le obbedì ciecamente. La dottoressa Applewhite era di ben dieci centimetri più bassa di lei, e non dovette abbassarsi molto adesso che Zoe era seduta. “Ora darò una ripulita a questi occhi da panda e li sistemerò di nuovo. Fammi indovinare: hai continuato ad aggiungere il mascara perché non riusciva rendere uniforme il trucco, vero?”

Zoe annuì, poi si immobilizzò al tocco del batuffolo di cotone, impregnato di qualcosa di umido, che veniva passato sulle sue palpebre. “Ho portato l’eyeliner,” disse. “Mi dispiace di essermi presentata così, di punto in bianco. Non sapevo a chi altri chiedere una mano.”

“Non preoccuparti,” disse la dottoressa Applewhite; la sua voce era un po’ distante, concentrata. “Ci sono sempre per te, Zoe. Lo sai. Ora passami l’eyeliner.”

Zoe rovistò nella sua borsa e glielo porse, quindi chiuse ancora una volta gli occhi. La mano ferma e sicura della dottoressa Applewhite si mosse nuovamente su entrambe le palpebre, una dopo l’altra, una leggera pressione per realizzare una linea perfetta.

“Ecco fatto,” disse la dottoressa Applewhite, sembrando compiaciuta del lavoro appena portato a termine. “Dai un’occhiata.”

Zoe aprì gli occhi, strizzando gli occhi alle luci intense del bagno per riadattarli. Si alzò e si diresse allo specchio, e rimase senza fiato.

La dottoressa Applewhite aveva usato il pennello nero in modo magistrale, disegnandole una linea sottile ed elegante che seguiva la curva delle palpebre, e poi realizzando una piccola coda ai margini. L’eyeliner esaltava l’oscurità dei suoi occhi marroni, contrastando i riflessi più chiari delle iridi. Zoe non si era mai vista così prima d’ora. Aveva un aspetto esotico. Femminile.

“Soddisfatta?” domandò la dottoressa Applewhite. “Posso fare qualcos’altro, se preferisci.”

Zoe annuì, mordendosi il labbro. “Soddisfatta,” disse.

“Deve trattarsi di una serata davvero speciale,” disse la dottoressa Applewhite, sedendosi sulla tavoletta abbassata del wc.

Zoe riprese la sua posizione sul bordo della vasca, sedendosi come un’adolescente. “Farò un’uscita a quattro con John, Shelley e suo marito,” spiegò. “Volevo impegnarmi.”

“Beh, sei davvero bellissima,” disse la dottoressa Applewhite, indicando il vestito color rosso intenso che Zoe aveva scelto. “Non ti ho mai vista indossare qualcosa del genere.”

Zoe abbassò lo sguardo. All’inizio si era sentita a disagio per il modo in cui il vestito scendeva sul décolleté, per come aderiva ai suoi fianchi e per lo spacco nel tessuto che correva lungo la parte inferiore della coscia. Si era sentita persino più a disagio a indossare quelle scarpe, sebbene il tacco fosse poco più alto di un paio di centimetri. Era tutto nuovo per lei. “Volevo mostrargli di poter essere …” Cercò la parola giusta. “Femminile.”

La dottoressa Applewhite si sporse in avanti e prese la mano di Zoe tra le sue. “Lui lo sa già. John è rimasto al tuo fianco per tutto questo tempo. Non devi cambiare per lui.”

“Lo so.” Zoe esitò, cercando di riassumere la sensazione. “È più di … Lo voglio.”

La dottoressa Applewhite sorrise, un sorriso profondo e genuino che sembrava provenire dai suoi occhi e raggiungere le labbra. “Le cose stanno diventando serie con lui.”

Non era una domanda, ma Zoe si sentì comunque in dovere di risponderle. “Forse. Stasera …” Zoe fece un respiro profondo. Era quella la cosa che la stava facendo sentire davvero ansiosa e agitata, la cosa che l’aveva spinta a impegnarsi maggiormente per avere un bell’aspetto. “Stasera voglio parlare con lui. Parlare sul serio. Del nostro futuro e della direzione che sta prendendo la nostra relazione.”

Gli occhi della dottoressa Applewhite, adornati di rughe di una vita fatta di sorrisi frequenti, stavano brillando per la commozione. Ultimamente sembrava che stesse succedendo spesso alle persone che la circondavano. Zoe si domandò se la stagione dell’influenza non stesse iniziando in anticipo. “Cosa speri che ti dica?”

Zoe abbassò lo sguardo sulle proprie unghie mangiucchiate. Aveva provato a mettere dello smalto quella mattina, ma non aveva funzionato. Alla fine, lo aveva rimosso tutto e aveva deciso di concentrarsi esclusivamente sul proprio viso. “Non lo so,” ammise. “Le cose stanno andando bene tra di noi, ma presto o tardi dovranno evolversi o interrompersi. Io sono …”

La dottoressa Applewhite la interruppe, completando la frase al posto suo. “Preoccupata?”

Zoe inclinò la testa. “Un po’.”

“E cosa mi dici dei numeri?” Domandò la dottoressa Applewhite, andando dritta al nocciolo del problema, come faceva sempre. “Lo sa?”

“No,” Zoe sospirò. Poteva contare le persone che conoscevano il suo segreto, la sua capacità di vedere i numeri dappertutto e in qualsiasi cosa, sulle dita di una sola mano. Shelley, la dottoressa Monk, la dottoressa Applewhite e il suo medico. Quelli che dovevano saperlo, e chi l’aveva scoperto da sé.

“Credi di poterglielo dire?” domandò delicatamente la dottoressa Applewhite.

Zoe voltò le mani, studiando le linee sui palmi. Sapeva che alcune persone credevano di poter leggere il destino nella lunghezza e nell’angolazione di quelle linee. Era il genere di pensiero che le avrebbe potuto creare dipendenza, se soltanto avesse creduto in qualcosa del genere. “Forse,” rispose, percorrendo la linea che sapeva collegata all’amore. “Dipende da questa sera.”

La dottoressa Applewhite si alzò improvvisamente, iniziando ad affaccendarsi. Nascose il suo viso da Zoe, concentrandosi sull’armadietto del bagno. “Spero vada bene,” disse; la sua voce era stranamente tesa. “Lo spero davvero.”

“Grazie,” disse Zoe. “Insomma, per tutto.”

Con sua grande sorpresa, la dottoressa Applewhite le girò attorno e la avvolse in un abbraccio, una stretta leggera attorno alle sue spalle. Quando la lasciò andare, Zoe vide che la sua mentore si stava tamponando gli occhi. “Non so perché stai perdendo tempo con una vecchietta come me,” disse, spingendola verso la porta. “Hai un appuntamento importante che ti aspetta. Vai, ora. Vai e divertiti.”

Intimamente, Zoe si domandò se quella serata sarebbe stata divertente. Molte cose dipendevano dal risultato della sua conversazione con John, e c’era anche la possibilità di fare una migliore impressione al marito di Shelley rispetto all’ultima volta che si erano incontrati.

Non appena uscì in strada, dirigendosi verso la sua auto, Zoe sentì una pressione sulle spalle, che si univa al nervosismo che permeava ogni fibra del suo corpo, fino a quando non le venne quasi in mente il pensiero di tornare dritta a casa.

Ma quando si sedette al volante, raddrizzò un’ultima volta le spalle e guardò fisso davanti a sé. Avrebbe partecipato a quella serata, a qualunque costo.

Era troppo importante per ripensarci adesso.




CAPITOLO DUE


Lorna si riparò gli occhi dal sole di fine Agosto, guardando il panorama dal crinale. All’orizzonte sorgevano pale eoliche, bianche e altissime sui campi verdi, cespugli affioranti, avvallamenti e specchi d’acqua che riflettevano il cielo azzurro. Ben presto, la vegetazione avrebbe iniziato ad assumere i toni dell’arancione o del marrone, ma per il momento era ancora brillante e piena di vita. Una tavolozza di verdi e bianchi. Colori perfetti per un’escursione in giornata.

Lorna si voltГІ a guardare la strada dalla quale era arrivata, gli edifici della cittГ  alle sue spalle. Era ancora abbastanza vicina da poterne distinguere alcuni: una chiesa, un centro sociale, la biblioteca accanto a un lembo di terra che era uno dei parchi. La sua casa. Aveva sempre vissuto in questa cittadina del Nebraska, ma con tutte le escursioni e tutte le comoditГ  a portata di mano, non aveva mai pensato di trasferirsi altrove.

Rivolse nuovamente lo sguardo al sentiero davanti a sé e ricominciò a camminare. Nella sua mente, stava tracciando il percorso per il resto della giornata: sarebbe scesa lungo questo crinale e avrebbe oltrepassato quello successivo, superando la base della prima pala – che per uno strano scherzo della prospettiva era sempre più imponente del previsto – per poi proseguire. Si sarebbe fermata soltanto dopo aver raggiunto uno dei suoi punti preferiti: un lago che, a guardarlo bene, aveva quasi la forma di un cuore. Avrebbe sostato lì per un po’, dopodiché avrebbe imboccato una stradina circolare che l’avrebbe ricondotta verso la città e la sua auto, prima di fare ritorno a casa, in tempo per l’ora di cena.

Stava pensando di fermarsi al negozio di alimentari lungo la strada per acquistare qualcosa di giГ  pronto in modo da non dover cucinare. Non era una cattiva idea. Una ricompensa per la fatica della giornata.

Fece i salti di gioia mentre percorreva l’adorato percorso, seguendo i passi di molte altre persone nonché la sua stessa ombra, proiettata davanti a sé su questa stradina che aveva battuto centinaia di volte. Era fortunata a vivere nelle vicinanze di questa serie di piste, che offrivano così tanta bellezza e varietà. Non doveva guidare per dirigersi nel mezzo del nulla come erano costrette a fare altre persone. La sicurezza di casa era sempre alle sue spalle.

Lorna respirò profondamente quell’aria fresca mentre saliva su un altro crinale, flettendo le spalle e sentendole invase dal calore del sole. Con il suo cappellino a proteggerle la testa e il viso, si stava godendo il caldo. Le sue braccia scoperte, sulle quali aveva spalmato un bel po’ di crema solare prima di partire, erano libere di essere sfiorate dalla brezza, cosa che manteneva confortevole la sua temperatura corporea. Era quasi la giornata perfetta. Nella sua mente abbozzò quel panorama, una vista del tutto familiare che avrebbe potuto ritrarre a memoria.

AbbassГІ lo sguardo e quasi inciampГІ, fermandosi poco prima di andare a sbattere contro un altro escursionista seduto sul percorso roccioso, appena al di sotto della cima della collinetta. Era un uomo, che aveva in mano uno scarpone da trekking e stava prestando assistenza alla propria caviglia.

“Oh!” esclamò, riacquistando l’equilibrio. “Dio, non l’avevo vista. Mi scusi, stavo quasi per caderle addosso!”

Lui le rivolse un accenno di risata, inclinando la testa all’indietro per guardarla da sotto il proprio cappellino. “Oh, wow, no, dispiace a me, è colpa mia. Non avrei dovuto sedermi nel bel mezzo di un punto cieco.”

“Va tutto bene?” domandò Lorna. Ora che lui aveva la testa all’indietro, riusciva a vedere quanto fosse attraente. Un aspetto classico: un naso importante, zigomi pronunciati, una mascella virile, simile a tre linee rette su una pagina. Era anche giovane, probabilmente sulla trentina. Il suo cuore accelerò. Quasi senza rendersene conto, raddrizzò la schiena, spingendo in fuori il petto e rammaricandosi di non essere un po’ più truccata.

“Oh, sì,” disse lui con disinvoltura, facendole un cenno con una mano mentre rivolgeva nuovamente l’attenzione alla propria caviglia. “Una sciocchezza, in realtà. Credo sia solo una leggera distorsione.”

“Cos’è successo?” domandò Lorna. Le sue mani si piegarono sulle cinghie dello zaino, e le lasciò scivolare sui fianchi.

Lui indicò una roccia, non lontana dalla cima del crinale. “Mi sono slogato la caviglia su quella roccia mentre scendevo dal crinale. Stavo guardando il panorama invece di fare attenzione a dove mettessi i piedi. Un errore da novellino, no?”

Lorna sorrise. “Proprio così. La regola è: fermati e ammira il panorama, poi torna a guardare il terreno su cui cammini.”

“Lo so, lo so,” disse lui, scrollando le spalle con aria impotente. “Immagino che questo mi insegni a fare attenzione quando esco in posti che non conosco.”

“Vuoi che chiami qualcuno?” domandò Lorna. Le sue mani si mossero verso le tasche, dove il suo cellulare era in attesa in caso di emergenza. “O magari che ti aiuti ad alzarti?”

“Me la caverò,” disse lui, iniziando a infilare nuovamente lo scarpone. “Devo rimettermi in cammino. Mi basterà fare due passi per stare meglio, credo.”

“Sicuro?” Lorna esitò, guardandolo con aria preoccupata. Secondo i suoi amici, aveva la tendenza a essere iperprotettiva. Non poteva farne a meno. Vedere qualcuno in difficoltà e non cercare di essere d’aiuto le metteva ansia.

“Sì, sì,” disse lui, allacciandosi la scarpa. “Sinceramente, mi sento davvero un idiota. Ma quantomeno sono stato fortunato che a trovarmi intento a pentirmi di uno stupido errore sia stata una bella donna!”

Le guance di Lorna arrossirono lievemente. L’aveva chiamata “bella donna”, ma l’avevo detto come se nulla fosse, senza neanche guardarla, mentre usava quel suo stesso sfogo per rimettersi faticosamente in piedi. Come se fosse un fatto evidente, qualcosa che non avesse bisogno di ulteriori discussioni né di scambi di sguardi, perché era scontato per entrambi.

Lorna si fece un po’ da parte per fargli spazio, allungando inconsapevolmente una mano verso di lui nel caso avesse avuto bisogno d’aiuto. L’uomo saltellò e si mosse un po’ a fatica, testando il peso sulla caviglia prima di uniformarlo su entrambi i piedi. Una postura semplice, comoda ed esperta, nonostante il dolore.

“Sicuro di stare bene?” domandò Lorna. Lo guardò con aria dubbiosa, quasi aspettandosi che lui inciampasse e cadesse nuovamente a terra.

L’uomo testò il piede ancora un po’, muovendosi gradualmente fino ad appoggiarvi la maggior parte del peso. “A quanto pare,” rispose lui, mostrandole un sorriso. “Ma non ho nessuna intenzione di rischiare. Andrò verso l’auto e tornerò a casa.”

“Lascia che ti accompagni,” si offrì immediatamente Lorna, sia perché era la cosa giusta da fare, sia perché, in segreto, desiderava trascorrere ancora un po’ di tempo con questo bellissimo sconosciuto. Forse, se fosse stato uno del posto, avrebbero potuto scambiarsi i numeri e concordare un’escursione da fare insieme, uno di questi giorni.

“Non voglio disturbarti,” disse lui, altrettanto rapidamente. “Avrai sicuramente i tuoi programmi e io mi sto mettendo in mezzo. La tua camminata è appena iniziata, no?”

Il respiro le si fermò per un istante. “Come fai a saperlo?”

Lui indicò la strada da cui era venuta. “Sei arrivata dal parcheggio alla base del sentiero. Proprio come me.”

Lei annuì, sorridendo per la sua paranoia. “Certo,” disse. “Beh, non c’è problema, figurati. Non mi sentirei a mio agio al pensiero di lasciarti tornare a piedi da solo. Mi dispiacerebbe molto se, al mio ritorno, ti vedessi seduto a terra perché non ce l’hai fatta a tornare giù.”

Le sue labbra, che avevano una perfetta forma ad arco ed erano così carnose da far venire voglia di baciarle, si incurvarono in un sorriso. “Va bene,” disse. “Non ho nessuna intenzione di farti dispiacere. Forza, andiamo.”

Si voltarono insieme e iniziarono a camminare in direzione del parcheggio. Al di sopra delle loro teste, una solitaria nuvola bianca attraversava il cielo azzurro, spinta dalla leggera brezza. “È una gran bella giornata per un’escursione,” disse Lorna.

“Certo che sì,” rise lui. “Ecco perché ho pensato che sarebbe stata un’ottima idea venire qui. Non capita spesso che il tempo sia bello durante una giornata di ferie.”

“Sono piuttosto stupita,” disse Lorna, camminando a lato della pista in modo che lui potesse occupare la parte più uniforme del terreno. “Avrei scommesso ci fossero un sacco di persone oggi. Invece è tranquillo.”

“La maggior parte delle persone è a casa, immagino,” disse lui, indicando la città in lontananza. Da alcuni dei punti più vicini era possibile distinguere le scie sottili di fumo nero. “A cucinare di tutto al barbecue.”

Lorna annuì, schermandosi gli occhi per guardare in direzione della città. “Hai ragione,” disse. “Non ci avevo pensato.” Non aggiunse il motivo: era single, ovviamente, e non aveva molti familiari con cui passare il tempo. L’escursionismo era tutto per lei: silenzio, solitudine, tempo per riflettere.

A pensarci bene, in fin dei conti non era così male condividerlo con qualcuno.

“Per quanto mi riguarda, preferirei mettermi in cammino ogni giorno,” disse lui. Quando lei si girò a guardarlo, l’uomo sorrise con una scintilla negli occhi. “Non ho una ragazza da cui tornare, quindi passo più tempo possibile all’aria aperta. Vivo a un paio di città di distanza da qui. È per questo che di solito non vengo da queste parti.”

“Ah sì?”domandò Lorna. La sua mente era impegnata a elaborare quelle informazioni: lui era single, viveva nei dintorni ed era innegabilmente attraente. Questo incontro stava diventando alquanto opportuno. Si stava chiedendo in che modo tirare fuori l’argomento. Forse avrebbe dovuto aspettare che fosse lui a parlarne per primo, o magari dire casualmente qualcosa a proposito di mostrargli i cammini, nel caso avesse voluto riprovarci.

“Ehi, magari qualche volta potresti mostrarmi la zona,” disse lui, facendo accelerare il battito cardiaco della ragazza. “Ti andrebbe? Insomma, quando la mia caviglia si sarà rimessa in sesto.”

“Certo,” rispose lei. Non si azzardò a guardarlo, nel caso lui si fosse accorto del rossore sulle sue guance. “Mi piacerebbe.”

“Sono davvero felice di averti incontrato, oggi, Lorna,” disse lui, e lei non poté fare a meno di condividere con tutto il cuore.

Poi si fermГІ, rendendosi conto che lui aveva pronunciato il suo nome.

Quando gli aveva detto il suo nome?

Aprì la bocca per chiedergli se si fossero incontrati altrove prima d’ora; in caso contrario, come avrebbe potuto sapere chi fosse? Ma in quel momento, mentre iniziava a voltarsi verso di lui, qualcosa di duro colpì la parte posteriore della sua testa, in un punto doloroso che sembrò scuoterle il cervello nel cranio.

Lorna aprì gli occhi e si accorse di essere distesa a terra, nonostante avesse soltanto sbattuto le palpebre. Sentiva un dolore acuto rimbalzare tra le pareti della sua testa, e quando allungò una mano, con aria intontita, per controllare se ci fosse del sangue, lo vide. Ora era in piedi davanti a lei, e ogni segno di problemi alla caviglia era sparito. Era eretto e alto, la sua postura decisa, inflessibile. La sua mano sinistra impugnava un manganello di cuoio, e lei si rese conto vagamente che doveva essere stata quella l’origine del dolore alla testa.

“Cos …?” cercò di domandare. Aveva sonno, nonostante il dolore, e sembrava come se tutto si stesse muovendo attraverso della melassa.

“Non ti muovere,” disse lui. La sua voce adesso era piatta e dura, come un pezzo di ardesia.

Lei non aveva alcuna intenzione di obbedire a quel comando, ma non c’era molto altro che potesse fare. Lorna smise di toccarsi la testa alla ricerca dell’origine del dolore e cercò invece di girarsi, un processo lento che la fece ansimare e fermare, mentre il suo cervello oscillava e pulsava.

Lui uscì da una macchia di cespugli bassi, ritornando nel campo visivo della ragazza. Adesso aveva qualcos’altro in mano. Qualcosa di lungo che brillava al sole, emanando riflessi argentei. Cercando di reprimere un’ondata di nausea mentre si voltava, Lorna si rese conto vagamente di cosa fosse: una sorta di spada, con una leggera curvatura verso l’estremità della lama.

“Ho detto,” ringhiò lui, avvicinandosi e fermandosi in piedi davanti a lei, schermando il sole con il proprio corpo, “non ti muovere.”

Lorna alzò lo sguardo. La testa dell’uomo era circondata da un alone creato dai raggi del sole, ma il suo viso era coperto da un’ombra nera. Lui sollevò il machete e spostò leggermente i piedi, come se stesse cercando la posizione giusta. Lorna portò in avanti un pugno ripiegato per strisciare via, cercando di muoversi, cercando di fare qualsiasi cosa per scappare.

Sentì un sibilo mentre il machete si abbatteva su di lei, e Lorna chiuse gli occhi in modo da non dover vedere.




CAPITOLO TRE


Va tutto bene, ricordò a se stessa Zoe, spostando lo sguardo tra il viso ridente di Shelley e quello di John, e incollando un sorriso sul suo per imitarli. Di fronte a lei, Harry, il marito di Shelley, stava lisciandosi la cravatta, discretamente compiaciuto di se stesso per la barzelletta ben raccontata. Era un gesto così simile a quello di John che Zoe dovette frenarsi dal fissarlo. Cos’avevano le cravatte perché tutti volessero lisciarle?

“Questa è stata davvero un’ottima idea, Shelley,” disse John, alzando verso di lei il suo bicchiere di vino prima di fare un sorso. Aveva scelto ancora una volta una camicia a strisce blu per quella cena. Zoe stava tenendo il conto di quante ne avesse, e sembrava che ne fossero un bel po’.

“Sono d’accordo,” disse Harry. “È bello conoscere meglio i tuoi colleghi.” Rivolse a Zoe un sorriso gentile, come se volesse farle sapere che era stato tutto perdonato. Insieme ai suoi capelli castani scompigliati, che sembravano sempre un po’ selvaggi, gli conferì un aspetto piuttosto geniale.

Zoe arrossì un po’, ma ricambiò il sorriso. L’ultima volta che era stata invitata a cena da Harry e Shelley, era scappata via da casa loro in preda al panico, sentendo il peso della vita perfetta di Shelley abbattersi su di lei.

Ma quello era stato prima. Prima che la dottoressa Monk l’aiutasse, prima che lei acquisisse il controllo sui numeri che l’avevano accompagnata in ogni istante della sua vita fino ad allora. Prima che potesse immaginare di sedersi in un ristorante affollato insieme ad altre tre persone, di sopportare conversazioni che si incrociavano e si sovrapponevano e di essere persino in grado di stare al passo.

“Le vostre portate,” annunciò il cameriere, facendo la sua comparsa alle spalle di Zoe con quattro piatti ben equilibrati tra il braccio e la mano. Il tavolo fu percorso da un mormorio generale di approvazione, e tutti tirarono indietro le mani e i gomiti per fare spazio.

Zoe abbassò lo sguardo sul proprio piatto mentre veniva sistemato davanti a lei, e i suoi occhi si spostarono sull’insalata di lato. Contò cinque foglie di lattuga iceberg, tre di lattuga romana, due pomodorini, un quarto di peperone tagliato a listarelle …

Chiuse gli occhi per un istante, cercando di raggiungere una tranquilla spiaggia insulare con nient’altro che il dolce sciabordio delle onde. Sotto il tavolo, la mano di John trovò e strinse la sua. Aprì gli occhi per fissarlo e sorridergli e respirò di nuovo, riportando i numeri in sottofondo, dove dovevano essere. John non conosceva il suo segreto, eppure sembrava capire istintivamente quando le servisse conforto.

“Sembra delizioso,” disse Zoe, sbirciando i piatti degli altri e pensando la stessa cosa.

Ci furono mormorii d’assenso e rumori metallici, mentre ciascuno di loro prendeva le proprie posate e iniziava ad affondarle nelle rispettive pietanze. L’arrivo del cibo fu sia benvenuto che indesiderato. Le fornì una scusa per non dover tenere il passo con quella costante conversazione, ma lasciò anche il tavolo avvolto nel silenzio, una cosa che faceva sempre sentire Zoe a disagio.

Beh, in realtà si sentiva più a suo agio quando c’era silenzio. Ma conosceva le aspettative sociali degli altri, quella pressione che imponeva che il silenzio venisse riempito. Alzò lo sguardo ansiosamente e incontrò quello di John, e lui le sorrise. Zoe allungò la mano per prendere il suo bicchiere di vino e fece un sorso, tranquillizzata dall’andazzo delle cose.

La portata principale terminò abbastanza agevolmente, con frammenti di conversazione qui e lì che lasciarono nuovamente il passo al gradimento generale delle pietanze, apparentemente senza alcun imbarazzo. Zoe rimase in stato di allerta, con la testa che si muoveva regolarmente per tutto il tavolo, attenta a cogliere indizi sociali che altrimenti avrebbero potuto sfuggirle. Questo le permetteva di rimanere vigile, teneva i numeri lontani dalla sua mente. Stava riuscendo a partecipare alla conversazione, piuttosto che limitarsi a essere seduta in disparte e sentirsi sopraffatta come capitava di solito.

“Allora, John, tu sei un avvocato, giusto?” domandò Harry, portando alla bocca l’ultimo boccone della sua portata a base di pesce.

John annuì, ingoiando frettolosamente prima di parlare. “Sono nel settore del diritto immobiliare. Proprietà ereditarie, affari immobiliari, controversie sui confini: quel genere di cose.”

“Deve tenerti piuttosto occupato,” commentò Harry. Zoe non aveva mai capito questo genere di convenevoli, e neanche ora ci riusciva. Per quale motivo Harry non si limitava a chiedere quello che voleva sapere davvero? Tutti che cercavano di nascondere le proprie intenzioni dietro domande vaghe e cortesi per tentare di capire. Zoe era felice di essere in rapporti abbastanza stretti almeno con John e Shelley da non dover ricorrere a ciò.

“Abbastanza occupato,” rispose John, accennando un sorriso. Posò momentaneamente la forchetta per passarsi una mano tra i suoi cortissimi capelli castani, un gesto abituale. Zoe notò la flessione dei muscoli del suo braccio e della spalla sotto la camicia, e ricordò a se stessa di concentrarsi. “Ho appena finito di lavorare a un caso davvero pazzesco. Due fratelli in lotta per la proprietà del defunto padre. Quei due stavano quasi per venire alle mani per qualche metro in più. A quanto pare non riuscivano ad accettare le cose per come le aveva decise il loro vecchio.”

Shelley scosse mestamente la testa. “Non so come facciano le persone a essere così insensibili,” disse. “La famiglia è tutto. Non è giusto scontrarsi così.”

“La famiglia non è tutto per chiunque,” disse sottovoce Zoe. “Ad alcune persone non interessano i legami di sangue.”

Shelley le rivolse uno sguardo attonito e dispiaciuto. Aveva indubbiamente dimenticato, in quell’istante, il rapporto travagliato – o per meglio dire, la mancanza di qualsiasi tipo di rapporto – tra Zoe e sua madre. “Hai ragione,” disse. “Certo. Suppongo sia io a considerare brutta l’idea di rivoltarmi contro la mia stessa famiglia in quel modo.”

“Questo perché hai un cuore grande,” disse Harry, stringendo la mano di sua moglie sul tavolo. Per un istante si guardarono a vicenda con amore; Zoe distolse lo sguardo da quello che le sembrava un momento privato, guardando John, che a sua volta la stava osservando con un sorriso curioso stampato sul suo viso.

“C’è spazio per il dessert?” domandò John, sistemando con cura il coltello e la forchetta nel piatto vuoto.

Harry e Shelley si scambiarono uno sguardo significativo prima di annuire all’unisono. “Perché no?” disse Harry. “Cercherò di attirare l’attenzione di qualcuno perché ci porti i menu.”

“Bene,” rispose Shelley, mettendo il tovagliolo sul tavolo accanto al piatto. “Mentre tu fai questo, Zoe e io faremo un salto al bagno delle signore.”

Zoe esitò. “Non ho bisogno di andare in bagno,” disse, perplessa dal fatto che Shelley avesse compreso anche lei.

Shelley le rivolse uno sguardo evasivo, piegandosi leggermente sulla propria sedia per sussurrare all’orecchio di Zoe. “Non devi averne bisogno tu. Ne ho bisogno io. E tu verrai con me.”

“Perché?” domandò Zoe, sempre più stupita.

“Per farmi compagnia,” disse Shelley. Dopodiché, con un gesto spazientito e un leggero brontolio di frustrazione, aggiunse: “Per spettegolare sui nostri uomini dove non possono sentirci. Andiamo.”

Zoe non era ancora del tutto sicura di aver compreso, ma si alzò comunque. Seguì la sua partner con passo alquanto vacillante, dovuto non tanto all’incertezza di andare con Shelley – dopotutto si fidava abbastanza di lei da assecondarla – ma al fatto di indossare i tacchi, cosa che aveva dimenticato fino a quando non si era alzata dal tavolo, e quella sensazione estranea alla base delle gambe non aveva ripreso a mettere a dura prova il suo equilibrio. Shelley, dal canto suo, camminava con sicurezza sui suoi tacchi a spillo, con quei fianchi formosi che oscillavano da una parte all’altra con grazia.

“È per questo che le donne vanno sempre al bagno insieme?” domandò Zoe, mentre aprivano la porta della toilette, notando la presenza di alcune donne che si lavavano le mani e si guardavano attentamente agli specchi collocati sopra i lavandini.

“Sì,” disse Shelley, ridendo. “E per comodità e spirito di compagnia. Perché è una cosa piacevole. E poi gli uomini cacciano in branco, quindi perché noi non dovremmo fare altrettanto?”

Zoe dovette ammetterlo, Shelley non aveva tutti i torti. Nascose un sorriso e si appoggiГІ a un fasciatoio libero e ripiegato, tenendosi piГ№ in disparte possibile in quello spazio ridotto. Intravide il suo riflesso in uno specchio collocato accanto alla porta, non riconoscendosi per un istante. Le cure della dottoressa Applewhite avevano esaltato i suoi occhi, e al suo fisico, che spesso pensava fosse mascolino, senza fianchi o petto da mettere in mostra, erano state conferite curve fittizie dal taglio del vestito. In qualche modo, persino i suoi capelli corti apparivano piГ№ dolci e femminili questa sera, bilanciati da orecchini pendenti con pietre rosse che sentiva pesanti ed estranei.

Una alla volta, le altre donne finirono di specchiarsi e tornarono in sala, e quando Shelley uscì dal suo cubicolo le due erano rimaste sole.

Shelley iniziò a lavarsi le mani, guardando Zoe in modo da introdurre la conversazione alla quale stava chiaramente mirando. “Stai andando davvero bene,” disse, chiudendo il rubinetto.

“Davvero?”

Shelley la guardò con la coda dell’occhio mentre si asciugava le mani con un asciugamani di carta monouso. “Lo sai bene anche tu. Ma è giusto dirtelo. Sono orgogliosa di te. Quando abbiamo lavorato insieme la prima volta, non avrei mai pensato che saresti stata in grado di fare qualcosa del genere.”

Zoe doveva ammettere che aveva ragione. “Io non avrei neanche mai pensato di desiderarlo, figuriamoci di esserne in grado.”

“Beh, allora sono felice che tu abbia cambiato idea a riguardo,” disse Shelley, finendo di asciugarsi le mani e mettendosi di fronte a lei. “Sei bellissima, Zoe. Mi piace questo tuo nuovo look.”

Zoe sorrise, sentendo un rossore sconosciuto farsi strada sulle sue guance. “C’è voluta un po’ di pratica,” disse, fermandosi appena prima di ammettere di aver avuto anche bisogno d’aiuto. Diede una rapida occhiata a Shelley: era sempre perfettamente truccata ed elegante. I suoi capelli biondi erano raccolti in un chignon leggermente più sofisticato del solito, con curve e boccoli che apparivano complicati, e le sfumature rosa pallido sulle sue palpebre si abbinavano al tessuto del suo abito discreto ma comunque capace di mettere in risalto la sua figura. Insomma era, come sempre, perfetta per l’occasione.

“Beh, la pratica ha dato i suoi frutti,” disse Shelley, raccogliendo la sua borsetta da dove l’aveva posata, accanto al lavandino.

Zoe, rendendosi conto che il momento giusto per restituire il complimento era passato, andò in panico per un secondo prima di decidersi a farlo comunque. “Anche tu stai davvero molto bene.”

Shelley la ricompensò con uno sguardo raggiante, dando al suo riflesso un’ultima occhiata generale prima di voltarsi di nuovo verso Zoe. “Non sono niente male per essere una mamma, eh?”

Zoe stava per dirle che fosse di gran lunga meglio di “niente male” – e per intavolare l’argomento di John e il fatto che volesse soffermarsi per parlare con lui da sola non appena fosse terminata la cena – ma un paio di trilli risuonarono nella stanza, quasi esattamente nello stesso istante, interrompendo la loro conversazione.

Zoe e Shelley si scambiarono uno sguardo. Quel suono era venuto dalle loro borsette – quella di Zoe le era stata prestata dalla dottoressa Applewhite perché si abbinava al suo vestito – e precisamente dai loro cellulari. C’erano soltanto due possibili spiegazioni perché entrambe avessero ricevuto un messaggio nello stesso istante. La prima era che fosse in atto una qualche sorta di emergenza di stato o nazionale e che ne venissero avvisate dal presidente.

La seconda era che fossero state richiamate in servizio per lavorare a un caso.

Zoe pregò che si trattasse di un’emergenza che non avrebbe messo fine alla loro cena, ma ovviamente lei non credeva in Dio, e qualsiasi divinità che udiva una preghiera da parte di un ateo molto probabilmente avrebbe fatto il contrario per dispetto. Tirarono fuori i rispettivi telefoni, leggendo entrambe lo stesso messaggio: Chiamare il prima possibile l’Agente Speciale al Comando Maitland per istruzioni.

Shelley sospirò. “Suppongo che questa serata stesse andando un po’ troppo bene per essere vera.”

Zoe si morse il labbro, pensando a John seduto lì fuori che l’aspettava, e si domandò quanti giorni sarebbero passati prima di poterlo rivedere.




CAPITOLO QUATTRO


Zoe esitò appena fuori il tozzo e squadrato monolita di cemento che era il J. Edgar Hoover Building. Per gli altri, era una brutta opera di architettura che ricordava più la Russia della Guerra Fredda che la gloria Americana. Zoe ne apprezzava le linee e l’uniformità degli interni e degli esterni, ma in quel momento anche lei desiderava trovarsi da qualsiasi altra parte.

“Adesso ci divertiremo un mondo,” borbottò Shelley, abbottonandosi un po’ di più la giacca in modo che coprisse il suo vestito.

Zoe, che non aveva neanche portato una giacca, era incline a concordare. In questo preciso momento, avrebbe dovuto essere impegnata a parlare con John, discutendo del futuro della loro relazione e forse prendendo decisioni che le avrebbero garantito abbastanza felicità per un bel po’ di tempo. Invece, lei e Shelley stavano per attraversare un intero edificio pieno zeppo di loro colleghi in abito e trucco da sera, un’esperienza un po’ troppo simile all’idea di inferno di Zoe.

Avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso e stavano aspettando l’ascensore, quando venne rivolto loro il primo commento. Johnson, un agente con la lingua lunga per non dire di peggio, attraversò con aria spavalda il corridoio, dirigendosi verso di loro. “Seratina piccante, signore?” domandò, puntando il dito contro di loro. “È bello che finalmente ammettiate le vostre tendenze.”

Shelley alzò gli occhi al cielo. “Sono felicemente sposata, Johnson. Con un uomo.”

“Oh,” disse Johnson, fingendosi scioccato. “Non mi aspettavo una tale omofobia dal duo femminile del Bureau.”

“Non sono omofoba, sono soltanto …” Shelley sospirò, chiudendo gli occhi per un istante prima di continuare con un tono più calmo. “Non sono lesbica. E Johnson? Fammi un favore, vai a farti fottere.”

Zoe si lasciГІ quasi sfuggire un sorriso. Non era assolutamente divertente essere prese in giro dai loro colleghi, soprattutto considerando che il piГ№ delle volte lei non capiva i riferimenti e le sfumature, ma era comunque uno spasso vedere Shelley turbata da qualcosa. Era qualcosa di diverso, e nonostante Zoe non volesse assolutamente vedere Shelley restarci male, le ricordava che fossero entrambe esseri umani.

Accompagnate da una scia di apprezzamenti e commenti su qualsiasi dettaglio, dalle scarpe ai capelli, le due donne riuscirono infine a raggiungere la porta dell’ufficio dell’Agente Speciale al Comando Maitland. Shelley si fermò un istante, raddrizzando le spalle e spostando all’indietro una ciocca di capelli, prima di bussare.

“Avanti.”

La voce tonante di quell’uomo era uno dei fattori che rendevano minacciosa la sua figura, al pari della sua taglia. Leo Maitland, con il suo metro e novanta centimetri, non si limitava a essere alto: era anche grosso, con bicipiti di trentotto centimetri che sfidavano la sua età. I capelli brizzolati alle tempie erano l’unico indicatore del fatto che avesse circa quarantacinque anni; la sua postura militare era intatta, come se fosse appena uscito dall’esercito.

“Signore,” dissero Zoe e Shelley quasi all’unisono. Era stato lui a convocarle. Sapevano bene di dover evitare inutili convenevoli. L’Agente Speciale al Comando della sede di Washington, D.C. era un uomo occupato, e il suo tempo era prezioso.

L’Agente Maitland continuò a rivolgere la propria attenzione al documento che aveva davanti per qualche momento, aggrottando la fronte mentre si concentrava, prima di firmarlo con un gesto rapido e metterlo da parte. “Agenti Prime e Rose,” disse, frugando in un cassetto traboccante della sua scrivania e tirando fuori un documento. “Ho la sensazione che questo vi piacerà.”

Zoe aggrottò le sopracciglia. Provare piacere per un caso di omicidio? Sembrava alquanto improbabile, a meno che l’assassino non stesse soffocando le sue vittime con lo zucchero filato, e tutte le piste non necessitassero di un’attenta e scrupolosa degustazione. “Signore?” domandò con aria dubbiosa.

“Era sarcasmo, Agente Prime,” disse, con il viso che non lasciò trasparire alcun accenno di sorriso. Teneva il documento in una mano protesa. “Una di voi due ha intenzione di prenderlo o avete entrambe sviluppato una paralisi?”

Shelley scattò in avanti, prendendo il dossier. “Scusi, signore.”

“Ecco i dettagli del caso. Il vostro volo partirà tra quattro ore,” disse, proseguendo come se nulla fosse. “Troverete i biglietti nel fascicolo. È il primo aereo per il Nebraska che è stato possibile prenotare.”

Quella parola percorse la schiena di Zoe come un fulmine. Nebraska. Lo Stato in cui era nata. Non che quello volesse dire qualcosa: in fondo si trattava di un posto enorme. Era improbabile che finissero vicino a dove era cresciuta.

“Due donne sono state trovate decapitate negli ultimi due giorni. Sembra che stia assumendo i contorni di un caso seriale, quindi abbiamo bisogno che voi due vi rechiate sul campo il prima possibile. Sono spiacente per il volo notturno, ma così facendo arriverete in città di prima mattina e potrete mettervi subito in contatto con il dipartimento di polizia locale,” continuò Maitland. “Abbiamo due scene del crimine in due città diverse, quindi è possibile che il colpevole si stia spostando. Dovrete chiudere questa faccenda il più velocemente possibile. Non vogliamo che l’assassino esca dallo Stato e faccia perdere le sue tracce.”

Shelley era intenta a sfogliare il dossier, e trasalì vedendo alcune foto. Zoe, sporgendosi alle sue spalle, riuscì a notare un considerevole schizzo di sangue prima che Shelley voltasse pagina.

“Faremo del nostro meglio, signore,” disse Shelley, con voce leggermente distante mentre la sua mente era già concentrata sul caso.

“Il vostro meglio non è sufficiente,” disse Maitland con un’espressione torva. “La stampa ci andrà a nozze con questo caso. Risolvetelo, prima che l’intera faccenda si trasformi in un circo e io sia costretto a spiegare al nostro superiore, oltretutto davanti alle telecamere di tutto il mondo, per quale motivo abbiamo lasciato che venissero commessi altri omicidi.”


***

Zoe reggeva il telefono con una mano, cercando di tenerlo in equilibrio contro il collo in modo da riuscire a piegare i vestiti mentre parlava. “Mi dispiace davvero,” disse. “A quanto pare potremmo stare via almeno per qualche giorno.”

“Sapevo cosa aspettarmi la prima volta in cui siamo usciti insieme,” la voce di John uscì dal ricevitore, il suo tono era leggero e divertito. “Va tutto bene. Salva il mondo. Sarò qui al tuo rientro.”

Zoe si morse il labbro distrattamente, finendo di piegare l’ultimo vestito e dirigendosi rapidamente verso il bagno per prendere il suo kit da viaggio. La sua voce echeggiò tra le piastrelle quando riprese la parola. “Odio il fatto di continuare a rovinare le nostre uscite,” disse. “Stasera mi stavo divertendo.”

“Anch’io,” disse John, e subito dopo la sua voce diventò più vellutata. “Non vedevo l’ora di accompagnarti a casa. Quel tuo vestito … mi piaceva davvero molto.”

Zoe diede un’occhiata al tessuto rosso, ora gettato sul suo letto, e sentì un leggero brivido in fondo allo stomaco alle sue parole. Lanciò i prodotti da bagno in valigia, guardandosi attorno per vedere cos’altro dovesse metterci. “Magari lo indosserò nuovamente per te quando sarò di ritorno.” Scarpe: spalancò la porta del suo guardaroba e ne tirò fuori un paio, nel caso in cui quelle che stava indossando diventassero scomode.

“Mi piacerebbe.” La voce di John cambiò di nuovo, stavolta assumendo un tono più serio. “In realtà, vorrei parlarti quando tornerai a casa.”

Zoe tentennГІ. Parlare. Cosa voleva dire? Ora non stavano parlando?

Era forse la cosa che aveva sempre visto nei film, il tanto temuto “parlare”, il momento della rottura?

No … quella di sicuro era soltanto una sua paranoia. John era un uomo adulto. Non aveva paura di rivelarle i suoi sentimenti, e finora non aveva espresso alcuna insoddisfazione.

Sicuramente non lo rendeva felice il fatto che lei stesse nuovamente scappando altrove proprio mentre le cose sembravano andare così bene tra di loro.

“Ok,” si sforzò di dire Zoe, non volendo che quel silenzio si trascinasse ancora. “Certo. Dovremmo farlo.”

“Allora chiamami non appena ritorni,” disse John. Anche lui fece una pausa. “Zoe?”

“Sì?”

Un’altra pausa, come se stesse ponderando le parole. “Fa’ buon viaggio.”

Zoe fissò il telefono che aveva in mano: lo schermo adesso si era oscurato, la chiamata era terminata. Per un breve istante pensò che fosse un’assurdità: non avrebbe mai pensato all’eventualità di non chiamarlo una volta rientrata. Per quale motivo avrebbe dovuto mettersi volontariamente in una situazione così orribile?

Ma non aveva idea di cosa lui volesse dire. Soltanto perché era abituata a essere rifiutata, per via delle sue capacità e del modo in cui la facevano sembrare diversa e strana agli occhi di chiunque altro, non voleva dire che anche lui le avrebbe riservato lo stesso trattamento. Pensò alla dottoressa Monk e a cosa le avrebbe detto – probabilmente qualcosa a proposito di non avanzare ipotesi per conto degli altri – e cercò di sgombrare la mente.

Un tintinnio catturГІ la sua attenzione mentre tirava fuori un sacco della biancheria da sistemare in valigia per i suoi vestiti sporchi. Le mani di Zoe volarono verso le orecchie, e si accorse che nella fretta e nella confusione di prepararsi non aveva ancora tolto gli orecchini.

Si avvicinò lentamente allo specchio del bagno, la prima volta che aveva fatto una pausa da quando aveva lasciato l’ufficio dell’Agente Maitland. L’eyeliner stava ancora delineando i suoi occhi, ricordandole come avrebbe dovuto andare la serata. Con rammarico, Zoe cercò il suo detergente per il viso e un panno. La serata era finita, ed era inutile cercare di aggrapparvisi con un ricordo che le sarebbe sbavato sul viso in aereo.


***

Zoe si strofinò gli occhi e sbadigliò. Era quasi l’alba, sebbene nessuna delle due potesse saperlo. Avevano abbassato la tendina del finestrino per impedire alla luce di entrare, lasciando il mondo esterno all’immaginazione e cercando di approfittare di qualche ora di sonno.

Alla fine, quattro ore si erano dimostrate appena sufficienti per Zoe per cambiarsi e indossare vestiti più adatti per il viaggio, prendere la valigia, impostare la mangiatoia per gatti a rilascio programmato, spostare qualche appuntamento e incontrarsi nuovamente con Shelley al Quartier Generale per recarsi insieme all’aeroporto. Appena salite sull’aereo, avevano convenuto sulla necessità di riposare un po’ per riuscire a combinare qualcosa di buono una volta atterrate.

“Ok,” disse. “Quindi al nostro arrivo ci aspetta un’auto a noleggio già pagata, giusto?”

“Sì,” confermò Shelley, sfogliando il dossier che avevano ricevuto. “A quanto pare il Bureau ha preteso una consegna prioritaria, quindi non ci vorrà molto per metterci in viaggio.”

“Per dove?”

“Qui dice Broken Ridge,” disse Shelley, passando già alla pagina successiva.

Il cuore di Zoe iniziò a batterle forte nel petto. “Broken Ridge?” domandò, nella vana speranza di aver sentito male.

“Già, a circa un’ora di auto dall’aeroporto,” confermò Shelley, studiando velocemente la mappa. “Perché?”

Zoe deglutì. “Solo per sapere,” rispose.

Non era vero. La veritГ  era qualcosa che non voleva ammettere: che la cittГ  di Broken Ridge era vicina, insopportabilmente vicina a dove Zoe era cresciuta. Talmente vicina che riusciva aВ  immaginare il posto nella sua mente. Ricordava ci fosse un parco eolico non lontano dalla cittГ , un sito che era stato sviluppato durante gli anni della sua gioventГ№.

Pensieri e ricordi di Broken Ridge portavano inesorabilmente a pensieri e ricordi di casa. Ma il luogo in cui era cresciuta non era mai stato abbastanza gentile nei suoi confronti da essere chiamato casa. Figlia del diavolo: la voce di sua madre le risuonГІ nelle orecchie, chiara adesso come quando aveva otto anni e si rannicchiava accanto al suo letto, con le mani giunte per recitare una falsa preghiera.

Zoe fece un respiro, chiudendo gli occhi e iniziando a contare. Inspira per tre secondi, espira per quattro. Per un istante pensò quasi di riuscire a sentire il calore di un sole tropicale sul suo viso, escludendo sia i dintorni dell’aereo che i ricordi che si affollavano nella sua mente.

Aprì gli occhi, nuovamente concentrata e calma. “Cos’abbiamo sulle vittime?” domandò.

“Ecco,” disse Shelley, porgendole un singolo foglio di carta. Ne tenne un altro per sé e iniziò a leggere ad alta voce. “La prima è una certa Michelle Young, secondo il documento d’identità che aveva in tasca. Non sono riusciti a identificarla dal viso perché la testa era sparita.”

Zoe imprecò sottovoce. “Non l’hanno ancora ritrovata?”

Shelley fece cenno di no con la testa. “Però c’è una foto recente. Ecco.” Sollevò la foto di una bionda sorridente che guardava direttamente verso la fotocamera. C’era un braccio attorno alle sue spalle, ma l’altra persona era stata rimossa. “Sembra sia stata decapitata con qualcosa di affilato, probabilmente un qualche tipo di spada. Segni di taglio; la valutazione iniziale parla di una lama lunga, probabilmente un machete. Aveva una trentina d’anni. Un metro e settantacinque, settantatre chili. Nessun tatuaggio. Lavorava come cassiera di banca. Era quella nell’altra città, Easterville.”

Zoe iniziò a parlare non appena Shelley alzò lo sguardo, dopo aver finito di elencare i dettagli del suo rapporto. “Io ho Lorna Troye,” lesse. “Anche la sua testa è scomparsa. Trentadue anni, un metro e settanta centimetri, cinquantanove chili. A quanto pare, era un’illustratrice freelance. C’è una sua foto.”

Guardarono entrambe la foto di Lorna, scattata per la pagina profilo del suo sito web. Sorrideva cordialmente verso l’obiettivo, nonostante avesse una posa rigida e professionale. In mano aveva una matita sollevata sopra un blocco da disegno, come se stesse per mettersi al lavoro.

Ci fu un attimo di silenzio tra le due mentre guardavano le foto delle donne morte. Una bionda e una bruna, proprio come Shelley e Zoe. Oltretutto, Zoe aveva quasi la stessa etГ , mentre Shelley era qualche anno piГ№ giovane.

Siamo nelle mani di Dio, si diceva. Ma dato che Zoe aveva smesso di credere in Dio dopo aver smesso di credere in ciò che le diceva sua madre – che nelle sue vene scorreva il sangue del demonio, e che era quello a farle vedere i numeri – non aveva idea di cosa la rendesse così fortunata.

“Atterreremo a breve,” disse Shelley, trattenendo uno sbadiglio. “Dovremmo prepararci.”

Prepararsi, pensò Zoe. E precisamente come avrebbe fatto a prepararsi ad atterrare nell’unico posto dal quale aveva cercato di scappare per tutta la sua vita?

AllacciГІ la cintura di sicurezza, sapendo di avere poca scelta.




CAPITOLO CINQUE


Il sole del primo mattino avvolgeva tutto in una luce spettrale mentre Zoe seguiva Shelley attraverso il parcheggio, rimanendo indietro con aria riluttante. Aveva la sensazione di essere in un luogo semi-conosciuto, ma che non ricordava abbastanza bene da percorrere con sicurezza.

E poi c’era quell’altra sensazione, quella che le sussurrava che avrebbe anche potuto imbattersi in qualcuno che una volta conosceva, trovandosi così vicino casa. Il parcheggio era pieno di veicoli statali: il furgoncino del medico legale, le auto del dipartimento dello sceriffo locale e quelle di vari altri funzionari che si erano indubbiamente precipitati qui con la brama di occuparsi di un crimine di questa portata in una città così piccola. Non era un lavoro ordinario per loro: per questo era così importante ricevere l’aiuto dell’FBI.

“Sceriffo Hawthorne?” disse Shelley, riparandosi gli occhi con una mano e facendo un cenno dall’altro lato del nastro segnaletico ufficiale verso un uomo in tenuta marrone e beige. Lui le rivolse un cenno di risposta e iniziò ad arrancare verso di loro, con i capelli bianchi che riflettevano il sole come un’aureola che sovrastava il suo metro e ottantatre centimetri d’altezza.

“Voi dovete essere le ragazze dell’FBI,” disse, squadrando le loro giacche a vento e le uniformi nere regolamentari del Bureau. “Il cadavere è stato portato via. Ho dovuto farlo per sottrarlo agli agenti atmosferici. Ma la scena del crimine è stata preservata ed è pronta perché possiate esaminarla.”

“Io sono l’Agente Shelley Rose,” disse Shelley, mostrandogli rapidamente il distintivo come richiedeva la procedura. “La prego, faccia strada.”

“Agente Zoe Prime,” aggiunse Zoe, imitando i movimenti di Shelley e quindi voltandosi per seguirli entrambi. Quantomeno questo sceriffo era un volto nuovo per lei. Era di buon auspicio per il resto della loro permanenza qui.

L’erba che spuntava su entrambi i lati del percorso brillava di rugiada alla luce del mattino. Era come trovarsi all’interno di una cartolina, pensò Zoe, mentre procedevano lungo il sentiero battuto. Era chiaramente molto visitato. Zoe notò gli schemi di crescita dell’erba circostante, i punti in cui si diradava e il modo in cui l’ampio ingresso del parcheggio si assottigliava fino a diventare una stradina percorribile da una persona, come un affluente che si allontanava dall’oceano.

“È stata ritrovata ieri sera?” stava chiedendo Shelley, più per conferma che per altro.

“Nel tardo pomeriggio,” le confermò lo sceriffo. “Siamo stati avvisati da un escursionista che si stava godendo gli ultimi sprazzi di bel tempo. Voleva salire in cima a uno dei crinali più alti per vedere la città al tramonto. Ma non ha fatto molta strada prima di imbattersi nel cadavere della signorina Troye. Era proprio sulla pista … beh, lo vedrete.”

Le sue parole avevano un tono piuttosto inquietante, in netto contrasto con l’idilliaca natura del parco e dei suoi percorsi. Zoe diede uno sguardo da un lato all’altro mentre camminavano; più avanti, tre uomini con le stesse uniformi beige e marroni stavano vagando in gruppo, sorvegliando senza dubbio quella che sarebbe stata la loro meta. Ma attorno a loro, a sinistra e a destra, non c’era molto da rilevare eccetto le dolci colline e i crinali, gli arbusti e, un po’ più in là, le altissime colonne bianche delle pale eoliche. Quarantadue, contò a colpo d’occhio, sebbene potessero essercene altre in lontananza, dove forse il cielo luminoso le rendeva invisibili.

A colpirla maggiormente era la vastità del posto. Non c’erano montagne a fornire copertura, né foreste in cui potersi nascondere. C’erano soltanto i crinali, con i bassi cespugli che spuntavano qua e là. Non era il genere di posto che avrebbe scelto lei, se avesse voluto commettere un omicidio in pieno giorno.

“L’assassino è spavaldo,” disse, a vantaggio di Shelley. “Nessuna copertura.”

Shelley annuì, allontanandosi dallo sceriffo in modo che potessero parlare. “La vittima era da sola, ma non era completamente isolata. Qualcuno al parcheggio avrebbe potuto vedere. Magari non tutti i dettagli, ma probabilmente abbastanza per capire cosa stesse succedendo.”

“Se la vittima avesse urlato, qualcuno l’avrebbe sentita,” aggiunse Zoe, guardando indietro in direzione delle auto adesso che erano più vicine alla scena. “O se fosse riuscita a cavarsela e scappare, avrebbe potuto sfuggirgli. Dare l’allarme. È stato un grosso rischio.”

Si avvicinarono agli uomini dello sceriffo, fermi in un impreciso semicerchio attorno a un’area che evitavano con attenzione. Adesso che si erano avvicinate abbastanza da dare un’occhiata, Zoe riuscì a capirne il motivo: il terreno era impregnato di sangue. Era penetrato nel suolo e lo aveva tinto di rosso, e i fili d’erba portavano ancora delle singole gocce che erano schizzate dal cadavere al momento dell’aggressione.

Si accovacciò in corrispondenza del perimetro dell’area che era stata delimitata con altro nastro, avvicinando gli occhi alla scena per analizzarla. Tranquillamente, come se stesse aprendo un cancello, permise ai numeri di riaffacciarsi nella sua mente.

La vittima, Lorna Troye, aveva perso la vita in questo punto. C’erano litri e litri di sangue, talmente tanti da impregnare il suolo calcareo; troppo perché una persona potesse sopravvivere, anche se la sua testa fosse rimasta attaccata al collo. Era sgorgato da un punto centrale, appena oltre il margine del sentiero, ma era anche schizzato su entrambi i lati del percorso battuto e sulle pietre levigate che lo tappezzavano. Quei dettagli raccontavano una storia di ferite da taglio, inferte con forza tale da schizzare quelle gocce su entrambi i lati. Abbastanza per macchiare scarpe e pantaloni, forse persino il davanti di una maglietta.

Zoe girò lentamente in cerchio, sempre all’esterno dell’area delimitata, non volendo contaminare le prove più di quanto non fosse già stato fatto. Il percorso, nei punti in cui veniva attraversato, era piatto e duro; non erano state rilevate orme, né segni di colluttazione. Nel punto in cui si era riversata la maggior parte del sangue, la terra era solcata: la lama dell’arma del delitto doveva essere affondata nel terreno più morbido dopo aver reciso la testa. Quel colpo era stato forte.

Il loro assassino aveva una forza superiore alla norma? Forse. Ma era anche possibile che avesse inferto diversi colpi. Il rapporto del medico legale relativo alla vittima precedente suggeriva un’azione di taglio, con la lama che veniva ripetutamente abbattuta fino a lavoro compiuto. Zoe si avvicinò ulteriormente, usando le mani inguantate per sporgersi in avanti e spostare qualche filo d’erba qua o là.

Ecco: un’altra tacca, proprio vicino alla prima, a un angolo di quindici gradi e con una profondità inferiore di circa cinque centimetri. L’assassino ha continuato a colpire la vittima al collo fino a recidergli la testa. Quindi probabilmente non era così forte, nonostante ci voglia comunque una certa potenza per spingere la lama attraverso l’osso e il tessuto muscolare.

“Non hanno molto,” mormorò Shelley, raggiungendo la sua collega. “Vedi niente?”

Zoe si alzò in piedi, sentendo i muscoli posteriori protestare. Oggi i numeri la stavano tradendo; c’erano pochissime prove fisiche da seguire. Avrebbe potuto stimare l’altezza della vittima dagli avvallamenti nell’erba, ma a che pro? La ragazza era già stesa sul tavolo dell’obitorio. “Non molto. Niente a proposito dell’altezza, del peso e della forza delle braccia dell’assassino, nonostante io sia piuttosto sicura che non si tratti di una persona gracile. Probabilmente un maschio, per riuscire a tagliare la testa. Non riesco a stimare le sue caratteristiche fisiche perché ha decapitato la vittima quando si trovava già distesa a terra.”

“La griglia di ricerca è stata ampiamente perlustrata ieri sera, ma non è stato trovato niente di rilevante,” disse Shelley, schermandosi gli occhi per guardare il resto del parco eolico, che si stagliava davanti a loro. “Quali sono le tue considerazioni sul luogo? Sembra troppo casuale per fermarsi in attesa che passi qualcuno, non trovi?”

“E la mancanza di nascondigli,” borbottò Zoe, concordando con la sua partner. “Non corrisponde affatto al tipico schema di un omicidio non premeditato. Si è trattato di qualcos’altro.”

Shelley si stava mordendo il labbro, guardandosi attorno. Un leggero venticello agitava i capelli corti alle sue tempie, facendoli sollevare. “Perché non fermarsi ad aspettare in qualche punto che offrisse una maggiore copertura, o magari più all’interno del parco?” disse. Sembrava più un pensiero formulato ad alta voce che una vera e propria domanda. “Proprio qui, così vicino al parcheggio; deve esserci un motivo per accollarsi un rischio del genere.”

Zoe abbassò nuovamente lo sguardo sulle macchie di sangue sul terreno. “Il corpo era disteso in questa direzione,” disse, indicando con le sue braccia. I piedi rivolti verso il resto del parco, la testa in direzione del parcheggio. “Solitamente, un aggressore nascosto attacca la vittima alle spalle, e questo la fa cadere in avanti.”

“Quindi secondo te la vittima stava tornando al parcheggio quando è stata aggredita?”

“Forse stava andando via. Lui doveva agire subito, prima di perdere l’occasione.” Zoe diede un’occhiata ai cespugli nelle vicinanze, con le foglie macchiate con gocce rosse simili a macabre bacche. “Forse lei l’ha visto e ha cercato di scappare. Ma non vedo segni di corsa, né di terreno smosso. Inoltre la vittima si trovava a lato del sentiero, su un terreno più morbido. Ci sarebbero state delle orme sull’erba.”

Shelley chiuse gli occhi, come se stesse visualizzando la scena. “Riassumendo, Lorna sta andando via, dirigendosi verso il parcheggio. Lui guarda avanti e sa di avere un breve lasso di tempo per sferrare il suo attacco prima che lei si porti al sicuro. Sceglie questo momento. Forse si è nascosto di lato, in mezzo a quei cespugli.”

Zoe scosse la testa, analizzando le dimensioni degli arbusti. La copertura non era sufficiente. “Non credo,” disse, ma c’era un modo abbastanza facile per dimostrarlo. “Agente?”

Uno dei giovani che avevano sorvegliato il sito alzò lo sguardo sentendosi chiamare. “Sì, signora?”

“Ci faccia un favore, vada a mettersi tra quei cespugli, proprio lì. Si accovacci o si stenda, come se stesse cercando di nascondersi.”

L’agente esitò, quindi rivolse lo sguardo allo sceriffo, che gli fece un cenno di assenso. Fece quanto gli era stato ordinato, muovendosi per nascondersi tra i cespugli. Nonostante indossasse colori naturali, era facile notarlo tra il verde delle piante. I cespugli erano bassi, e gli spazi vuoti non garantivano un rifugio sufficiente.

Shelley si mosse attorno al cordone, dirigendosi dall’altra parte del sentiero e guardando indietro in direzione del giovane. “Riesco a vederlo anche da qui,” confermò.

“Abbassati un po’,” le urlò Zoe. “Sei più alta di un paio di centimetri.”

Shelley si piegò sulle ginocchia, chinandosi ben oltre cinque centimetri. “Non fa differenza,” disse. “Riesco a vedere i suoi piedi e le sue spalle.”

“Grazie, agente. Può alzarsi,” disse Zoe, con grande sollievo del giovane, che si rimise in piedi e iniziò immediatamente a togliersi i residui di foglie dai vestiti.

“Allora stava camminando,” disse Shelley, avvicinandosi a lei. “La vittima non stava scappando, quindi probabilmente lo ha visto e non ha pensato fosse una minaccia.”

“Questo vuol dire che l’assassino non aveva con sé il machete,” sottolineò Zoe. “Almeno non subito.”

“E se conoscesse le vittime?” domandò Shelley. I suoi occhi erano rivolti verso la vicina città. “Si trovano in stretta prossimità. Qualcuno potrebbe facilmente vivere in una città e lavorare nell’altra. È possibile che entrambe avessero delle conoscenze in comune.”

“Gli omicidi per motivi personali sono quasi tutti crimini passionali,” disse Zoe, citando le statistiche dai libri di testo. Anche se le sapeva a memoria, c’era qualcosa che i libri non erano mai stati in grado di descriverle: l’atmosfera di una scena del crimine. Qui, forse, stava finalmente iniziando a comprenderla. C’era una sorta di pianificazione, ed erano stati inferti soltanto i colpi sufficienti a tagliare la testa: non c’è stato nessun accanimento, nessuna frenesia. Calma. “Questo invece è freddo e calcolato.”

“Potrebbe trattarsi lo stesso di una faccenda personale. Forse l’assassino ha perso la testa lentamente, col passare del tempo. Magari  è uno psicopatico.”

Zoe sussultava tutte le volte in cui sentiva quella parola. Le era stata rivolta spesso. Da sua madre, dai suoi compagni di scuola, da chiunque non la ritenesse in grado di reagire alle situazioni sociali con il giusto livello di risposta emotiva. Aveva sempre saputo di essere diversa. C’era voluto molto tempo per capire che non per questo era malvagia.

“Ok, qui ci vedo due opzioni,” riassunse, allontanando quella sensazione. “O le è passato accanto con aria innocente, per poi girarsi e aggredirla con una lama nascosta, oppure prima ha guadagnato la sua fiducia. Magari attraverso una conoscenza personale preesistente, o con qualche altro metodo.”

“Allora come prima cosa dobbiamo scoprire se Lorna Troye e Michelle Young avessero delle conoscenze in comune,” disse Shelley. Nonostante le occhiaie dovute al volo notturno, stava iniziando ad apparire più energica e vigile. Quasi eccitata all’idea di una nuova pista. “Che ne dici di andare a dare un’occhiata al cadavere?”

Zoe le rivolse un sorriso ironico. “Pensavo non l’avresti mai chiesto.”




CAPITOLO SEI


L’ufficio del medico legale avrebbe potuto essere quello di qualsiasi cittadina degli Stati Uniti, pensò Zoe. Una stanza fredda con carrelli d’acciaio, soltanto un paio, perché questo posto non era mai particolarmente affollato. Una parete piena di maniglie che, a dispetto della loro innocenza, contenevano orrori indicibili, almeno per la maggior parte delle persone. Per Zoe e Shelley, era una domenica come tante.

“È questa.” Il medico legale, un uomo panciuto con occhiali da miope che trasformavano il suo viso in quello di un gufo, tirò fuori uno dei carrelli con una forza all’apparenza eccessiva. Zoe sentì i suoi muscoli irrigidirsi all’idea di ritrovarsi con un cadavere che le volava addosso, ma il corpo si limitò a oscillare leggermente sul carrello.

Il cadavere era coperto con un semplice lenzuolo bianco, che terminava con un disgustoso avvallamento nel punto in cui avrebbe dovuto trovarsi la testa. Zoe si avvicinò e lo rimosse, sapendo che Shelley stava già iniziando a provare un po’ di nausea.

Lo spettacolo era interessante. Il corpo nudo non aveva alcun segno evidente di colluttazione, trascurando il fatto che dove una volta c’era il collo ora restava soltanto un moncherino di carne e di fibre maciullate. Il bianco della colonna vertebrale era appena visibile al di sotto della carne rossa e scorticata e il taglio, sebbene uniforme, presentava una serie di angoli contrastanti, risultato di molteplici colpi.

“Cosa ne pensa?” domandò delicatamente Shelley, a voce bassa per rispetto verso un corpo che non sarebbe riuscito a sentirla anche se fosse stato vivo, senza le orecchie ad assolvere a quella funzione.

“Diversi colpi sul collo,” disse in modo diretto il medico legale, spingendo gli occhiali lungo il naso con una delle sue spesse dita mentre con un altro mimava dei tagli nell’aria. “Probabilmente con una lama leggera. Non posso dirlo con certezza assoluta, ma ipotizzerei un machete. Grossomodo sarebbe questo il risultato.”

“Grossomodo?” domandò Zoe.

Il medico legale scrollò le spalle, provando una sensazione di disagio. “Beh, personalmente non ho mai visto nulla del genere,” disse. “Ma ho letto le statistiche. È più plausibile un machete che una spada da samurai, per fare un esempio. Anche se quelle probabilmente vengono al secondo posto. Le persone le prendono in Giappone o le acquistano su Internet.”

Zoe resistette alla tentazione di dirgli che erano chiamate katana, preferendo tornare a rivolgere la propria attenzione al cadavere. Contò gli angoli sul collo. Due in più di quelli di cui aveva visto tracce sulla scena del crimine: evidentemente, i primi due sono stati abbastanza superficiali da non colpire il terreno. “Può dirci quanta forza è stata messa nei quattro colpi?”

“Non abbastanza per recidere la testa in un colpo solo, questo è sicuro,” disse il medico legale. “È possibile notare i piani contrastanti qui, e qui: ogni colpo è stato inflitto a un’angolazione leggermente diversa, provocando di conseguenza il contorno rozzo e la superficie irregolare che vedete … quattro volte, proprio come ha detto lei.”

“Crede sia stato qualcuno privo di forza naturale?” domandò Shelley, che finalmente si era ripresa abbastanza da quello spettacolo.

Il medico legale scrollò le spalle. “Difficile a dirsi senza usare una macchina del tempo. Tutto quello che so è il grado di forza. Potrebbe essere stata una donna anziana, che ha colpito con tutta la sua forza, magari spinta dall’adrenalina, o Arnold Schwarzenegger in una giornata pigra. Non so dirlo.”

“Non sa neanche dirci se possa trattarsi di un uomo o di una donna?”

“La vostra ipotesi è valida quanto la mia, a questo punto,” rispose il medico legale. “I vostri uomini sono più qualificati a rispondere a questa domanda. Movente, opportunità, etc.”

Non era molto utile, ma era aveva ragione. “Abbiamo visto tutto quello che ci serviva,” disse Zoe, spostandosi per permettere all’uomo di richiudere il comparto.

“Grazie,” disse Shelley all’uomo, prima di seguire Zoe, che stava già uscendo dalla stanza.

Fuori il sole era finalmente sorto del tutto, una luminosità che spinse Zoe a indossare i suoi occhiali da sole. Anche il caldo era forte, e si concentrava su di loro come un peso fisico. Zoe si fermò all’ombra, accanto all’ufficio del coroner, socchiudendo gli occhi in direzione della loro auto nel parcheggio e calcolando esattamente quanto fosse caldo l’abitacolo. Apprenderlo non era assolutamente di conforto.

“Dove andiamo ora?” domandò Shelley.

“Dalla famiglia di Lorna Troye,” rispose Zoe. “Vediamo se possono metterci sulla strada giusta. Forse sanno qualcosa che la colleghi a Michelle Young.”

“Secondo il dossier, non le rimangono molti familiari,” disse Shelley. Se ne ricordava. Doveva aver già letto quella sezione. Zoe provò un senso di colpa per non aver fatto altrettanto. “I genitori sono morti in seguito a un incidente stradale circa dieci anni fa. Le è rimasta solo una sorella.”

Zoe annuì. “Va bene.” Ci pensò su per un istante. Nessuna di loro si mosse; o Shelley era poco propensa a infilarsi nell’auto bollente tanto quanto Zoe, oppure le stava dando tempo. “Non sappiamo ancora con precisione cosa cercare.”

“Maschio o femmina, forte o debole, nessuna idea sulle caratteristiche fisiche.” Sospirò Shelley. “Sarebbe fantastico se prima o poi spuntasse un testimone. Che ne dici? Qualche idea su come iniziare a delineare un profilo?”

Zoe scosse leggermente la testa. “Un’opzione vale l’altra. Nella maggior parte delle circostanze, una tale ferocia verrebbe associata a un colpevole maschio. Le donne, come sappiamo, tendono a optare per metodi di aggressione meno fisici. Ma d’altro canto, è chiaro che Lorna Troye non si sentisse preoccupata al momento dell’attacco. Potrebbe addirittura essersi fidata dell’aggressore o essersi sentita al sicuro accanto a lui. Questo farebbe propendere per una donna.”

“La cosa che mi colpisce maggiormente di tutta questa faccenda è l’idea di commettere l’omicidio in bella vista.”

“Sa di sicurezza,” disse Zoe. “O di follia. Una qualche sorta di sensazione a garantirgli che non sarebbe stato catturato. Forse i tagli mancavano di potenza perché non sono stati fatti con la fretta. L’assassino si sentiva invincibile in quel momento. Come se il mondo si fosse fermato per permettergli di colpire.”

“Già,” concordò Shelley, appoggiandosi alla fredda pietra dell’edificio. “Dobbiamo trovare un modo per restringere un po’ di più il campo. Farci un’idea di cosa stia succedendo qui.”

“Allora speriamo che la sorella di Lorna Troye possa darci una mano,” disse Zoe, avanzando con riluttanza verso il feroce calore del sole in direzione dell’auto.


***

La sorella di Lorna Troye viveva in un piccolo appartamento vicino al centro della città, sopra un negozio di ferramenta. Dopo aver attraversato l’ingresso, si ritrovarono in un corridoio verniciato di un giallo vivace, e quindi in un soggiorno che aveva diverse sfumature di rosa e soprattutto velluto.

“Siete sicure che non possa offrirvi niente?” Daphne Troye, sorella maggiore di Lorna, lo chiese per almeno la sesta volta.

“Sì, signorina Troye, stiamo bene così,” le assicurò Shelley, rivolgendole un luminoso sorriso.

“Oh, è signora Troye.” Daphne ricambiò il sorriso, girando la mano per mostrare loro un anello d’oro che luccicava opacamente. “Mia moglie ha preso il mio cognome quando ci siamo sposate.”

“Signora Troye,” si corresse Shelley. “So bene che questo deve essere un periodo stressante per lei. Vogliamo soltanto farle un paio di domande per vedere di riuscire a catturare chiunque abbia fatto questo a sua sorella.”

Il sorriso sulle labbra di Daphne, già fragile, si frantumò in tanti piccoli pezzettini. “Sì,” disse, appoggiandosi completamente allo schienale della sedia e, a quanto pare, accettando il fatto che non fosse necessario alzarsi a prendere qualcosa. “Certo. Fate pure.”

“Cosa può dirci a proposito di ieri?” domandò Shelley. “Si è sentita con Lorna?”

“Poco.” Gli occhi di Daphne si spostarono per un attimo su una porta chiusa dall’altra parte del corridoio, prima di tornare a posarsi su di loro. “Lorna e Rhona, mia moglie, non andavano molto d’accordo. Non parlavamo molto, ultimamente. Almeno non di persona. Ma le ho inviato un messaggio al mattino.”

“Sapeva che avesse in programma di uscire per un’escursione?”

“Sì.” Daphne prese la propria tazza, piena di un liquido lattiginoso che avrebbe potuto essere tè o caffè a giudicare da quanto fosse diluito, e fece un piccolo sorso. “Me lo aveva detto. Avrebbe dovuto andarci con un’amica, ma ha annullato all’ultimo minuto.”

“Ha il nome di quell’amica?” domandò Zoe, aprendo il suo taccuino.

“Uhm,” Daphne fece una pausa, toccandosi il ponte del naso e chiudendo gli occhi mentre pensava. “Fatemi … Cora! Il suo nome è Cora.”

“Cognome?”

Daphne scosse la testa. “Non lo conosco, mi spiace.”

“Va benissimo,” disse Shelley. “Cora non è un nome comune. Sono sicura che riusciremo a risalire a lei.”

“Vorrei mostrarle una foto, se mi permette,” disse Zoe. Vedendo gli occhi di Daphne spalancarsi e la sua mano iniziare a tremare, aggiunse immediatamente: “Non della scena del crimine. Non si preoccupi. È la foto di una donna. Vogliamo soltanto chiederle se la riconosce, e soprattutto se ha mai visto Lorna con lei.”

Prese la foto stampata di Michelle Young dal retro del suo taccuino e la fece scivolare sul tavolo, lasciando che Daphne la guardasse bene.

“Io … Io non credo,” disse Daphne, dopo un lungo istante, alzando lo sguardo. “Chi è?”

“Si chiama Michelle Young,” disse Zoe. “Riconosce questo nome?”

Daphne scosse la testa. “È … è la persona che pensate lo abbia fatto?”

C’era un accenno di paura nella sua voce, ma anche di speranza. Conoscere il colpevole sarebbe stato senza dubbio un sollievo. Un passo avanti per capire il motivo per cui sua sorella le fosse stata portata via. A Zoe dispiacque non poterle dare quel conforto.

“No, signora Troye,” disse Zoe, riprendendo la foto. “Abbiamo motivo di credere che questa donna possa essere un’altra vittima dello stesso assassino.”

Daphne rimase quasi senza fiato per un istante, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. “Non è successo soltanto a Lorna?”

“Non possiamo ancora esserne assolutamente sicure,” disse Shelley con un tono consolatorio, una risposta programmata, frutto del suo periodo di addestramento. Mai garantire nulla prima che il caso sia chiuso. “Ma le scene del crimine presentano alcune similitudini. È una strada che stiamo vagliando.”

Daphne deglutì a fatica, e i suoi occhi caddero sulla tazza che aveva davanti. Non disse nient’altro. Sembrava che stesse avendo difficoltà a elaborare quell’informazione.

Zoe scambiò uno sguardo con Shelley. Aveva la sensazione che questa fosse la fine del loro interrogatorio, e quando Shelley le rivolse un leggero cenno, capì di avere ragione. “La ringrazio, signora Troye,” disse. “La lasciamo alle sue cose, ora. Se le viene in mente qualcos’altro, la prego di non esitare a contattarci.”

Non ci fu alcuna risposta dalla donna seduta di fronte a loro, tranne un leggero cenno del capo e una scrollata di spalle quasi impercettibile. Shelley e Zoe si alzarono, entrambe esitanti all’idea di lasciarla, sebbene sapessero che non fosse sola. Nella stanza che aveva la porta chiusa, sicuramente per dar loro un po’ di privacy, doveva esserci sua moglie; si sarebbero fatte forza a vicenda.

Anche se probabilmente l’avrebbero superata prima, almeno secondo l’esperienza di Zoe, se avessero avuto informazioni concrete sulla persona che aveva portato via la loro cara, e la possibilità di vedere fatta giustizia.

“Meglio andare alla centrale di polizia e allestire una sede per le indagini,” disse Zoe, facendo una pausa appena prima di entrare nell’auto a noleggio. “Abbiamo bisogno di trovare una pista il prima possibile. E a quanto pare abbiamo qualcuno da cui iniziare: Cora, l’amica di Lorna.”

“Magari saremo fortunate,” disse Shelley, facendo dell’umorismo nero. “Chissà, forse la colpevole è proprio lei.”

Ma mettendosi al volante, Zoe pensò tra sé e sé che non ci fosse alcuna possibilità di essere così fortunate.




CAPITOLO SETTE


“Ok,” disse Zoe, sistemandosi davanti al tavolo che avevano creato unendo due scrivanie. “Cos’abbiamo finora?”

Shelley diede un’occhiata ai documenti che avevano sparso su entrambi i lati del tavolo. Da una parte Michelle Young, dall’altra Lorna Troye. “Abbiamo due giovani donne, più o meno della stessa età. Entrambe uccise durante il giorno, il che dimostra un certo livello di sicurezza da parte dell’assassino. Entrambe nello stesso territorio, seppur in due diverse città, all’interno dello stesso Stato. Una bionda, l’altra bruna. Entrambe erano da sole al momento della morte. Nessun testimone.”

“E a quanto pare l’arma del delitto è stata la stessa in entrambi i casi,” aggiunse Zoe. “Il machete, usato per decapitare le vittime e rimuovere le teste, portandole in un luogo tuttora sconosciuto.”

Somiglianze e differenze: bisognava cercare queste nelle prime fasi di un caso di omicidio seriale. Cosa avevano in comune le vittime che le distingueva e le rendeva bersagli? E quali erano, invece, le differenze tra di loro?

Il fatto di essere state prese di mira per la loro età e la loro avvenenza era un’ipotesi alquanto valida. Avrebbe potuto trattarsi o meno di opportunità, come avevano già considerato.

Ma per quanto riguarda le differenze?

“La distanza tra le città potrebbe essere rilevante. Quaranta minuti di auto.”

“Potrebbe essere del posto,” disse Shelley. “O forse si sta spostando.”

Zoe inclinò la testa. “Secondo le statistiche, la maggior parte degli assassini seriali colpisce entro un determinato raggio dalla propria residenza. Di solito non così vicino da non sentirsi al sicuro. Abbastanza lontano da non destare sospetti, ma comunque abbastanza vicino da potersi spostare agevolmente. È possibile ipotizzare un raggio di due ore da entrambe le città.”

Shelley diede un’occhiata alla mappa. “Ci sono troppe città all’interno di questo raggio,” disse. “Dovremo restringerlo ancora.”

Cos’altro avrebbero potuto usare?

“Lorna non avrebbe dovuto essere da sola quando è stata uccisa,” disse ad alta voce Zoe, riflettendoci su. “L’eventualità che l’assassino fosse in agguato potrebbe voler dire due cose: o che fosse consapevole di quel cambiamento di programma, o che stesse semplicemente aspettando che passasse qualcuno a caso.”

Shelley stava mordendo una delle sue unghie, rosicchiandone i bordi. “L’amica che le ha dato buca,” disse. “Non dovrebbero esserci problemi a rintracciarla. Abbiamo il cellulare di Lorna?”

“Non ancora,” disse Zoe, controllando il registro delle prove che lo sceriffo le aveva consegnato. “Qualcuno sta cercando di sbloccarlo. A quanto pare è protetto da una password. Probabilmente ci vorrà un mandato per convincere la compagnia telefonica a fornirci l’accesso.”

“Allora gli account social,” disse Shelley con risolutezza, tirando fuori il suo cellulare e iniziando ad aprire pagine.

“Non sono sicura che ci abbiano già dato i nomi,” disse Zoe, sfogliando le pagine del rapporto relativo alle proprietà di Lorna.

“Non ne abbiamo bisogno,” disse sorridendo Shelley. Sollevò lo schermo. Su di esso era chiaramente mostrata un’immagine di Lorna, visualizzata sul feed di una pagina Facebook. “In questa zona non ci sono molte Lorna Troyes.”

Zoe si avvicinò, sporgendosi sul tavolo in modo da poter vedere meglio. “Qualche post recente da parte di una Cora?”

Shelley fece lentamente scorrere in basso il feed. “Sì! Ecco, guarda: ha taggato sia se stessa che Lorna in un ristorante un paio di settimane fa. Cora Day.”

“Ottimo lavoro.” Zoe annuì. “Ma scommetto che non siamo così fortunate da scoprire che Michelle Young fosse un’amicizia in comune.”

Shelley aggrottò la fronte, girando nuovamente verso di sé lo schermo e scorrendo rapidamente la pagina verso il basso, cercando nell’elenco delle amicizie di Lorna. “No, a quanto pare no.”

“Forse possiamo vedere se hanno qualche interesse o qualche amico in comune a parte Cora,” suggerì Zoe. “Io guarderò il profilo di Michelle, tu resta su quello di Lorna. Possiamo dire ad alta voce i nomi degli amici in ordine alfabetico e vedere se qualcuno combacia.”

Shelley la assecondò, tornando all’elenco delle amicizie di Lorna e leggendo i nomi uno dopo l’altro. Zoe, che per fortuna era stata in grado di trovare Michelle abbastanza facilmente attraverso la sua immagine del profilo, guardò a sua volta l’elenco alfabetico degli amici della ragazza. Nessuno di loro corrispondeva.

Shelley sospirò. “Allora è un buco nell’acqua.”

“Non è detto,” le disse Zoe. “Questo è pur sempre un territorio abbastanza piccolo, e non è detto che chiunque aggiunga automaticamente qualsiasi persona che incontra al proprio elenco di amicizie. Dovremmo dare un’occhiata ai loro post e alle registrazioni. Forse entrambe frequentavano regolarmente gli stessi posti.”

Shelley convenne. “Inizierò a fare un elenco,” disse. “Aggiungerò qualsiasi cosa risalente agli ultimi mesi. Poi confronteremo gli appunti.”

Zoe si mise all’opera, controllando il feed di Michelle. Fu un lavoro lento. A quanto pare Michelle aveva avuto l’abitudine di scrivere sulla propria pagina qualsiasi pensiero o considerazione, spesso in modo talmente vago che sembrava che soltanto il diretto interessato potesse comprenderli. C’era spesso una raffica di commenti sotto questi nebulosi aggiornamenti, in cui venivano richiesti ulteriori dettagli che Michelle non si era mai premurata di fornire.

Ma, un momento: quello lì era … ?

“Cora Day?” disse Zoe a voce alta. “Era quello il suo nome?”

“Sì,” disse Shelley, alzando lo sguardo. “Hai trovato qualcosa?”

“Ecco,” rispose Zoe, mostrandolo alla sua partner. “Pare che dopotutto si conoscessero.”

C’era una fotografia che mostrava Michelle e un gruppo di altre donne. In piedi sulla sinistra, sorridente, c’era una donna taggata come Cora Day.

“È lei,” confermò Shelley. “Dov’è stata scattata?”

Zoe consultò i tag. “In un locale notturno in città. Continuerò a cercare. Potrebbe esserci dell’altro.”

C’era dell’altro, e non impiegò molto tempo a trovarlo. Lì, qualche post più in basso, c’era un commento da parte di Cora: il primo che aveva visto ma, in termini cronologici, il più recente.

Qualsiasi cosa fosse successa tra le due donne, non sembrava fosse stato qualcosa di piacevole.

“Ascolta questo,” disse Zoe, leggendo ad alta voce. “Sei così prevedibile, troia. Piantala di postare aggiornamenti su di me. Se vuoi dirmi qualcosa, dimmelo in faccia.”

“E questo cos’è?” sussultò Shelley.

“È un commento da parte di Cora Day sulla pagina Facebook di Michelle Young,” disse Zoe con tono trionfante. “A quanto pare erano amiche, almeno fino a questo momento. Michelle le ha risposto di andare a farsi fottere e Cora non ha mai replicato. Immagino che a questo punto le due si siano bloccate a vicenda.”

“Quando è successo?” domandò Shelley con aria pensierosa.

Zoe controllò la data. “Poco più di un mese fa.”

“Quindi, ricapitolando,” disse Shelley, con un sorriso che lentamente stava prendendo vita sul suo viso, “Cora Day litiga con Michelle Young, e circa un mese più tardi questa viene trovata morta. Poi Cora annulla appuntamento con Lorna Troye per un’escursione pre-programmata, lasciandola sola, e anche Lorna viene uccisa, oltretutto con lo stesso metodo.”

“E il medico legale dice che è del tutto possibile che il sospettato che stiamo cercando possa essere una donna, soprattutto considerando la scarica di adrenalina che avrebbe potuto permetterle di colpire con più forza del previsto.”

“Oltre al fatto che l’assassino era abbastanza sicuro di sé da avvicinare entrambe le donne in pieno giorno quando erano da sole, senza indurle a scappare dalla paura, molto probabilmente perché loro già lo conoscevano.”

“A quanto pare abbiamo un sospettato,” disse Zoe, cogliendo la palese eccitazione di Shelley. E, in fin dei conti, perché no? Poteva benissimo essere questa la pista che avrebbe dato una svolta al caso.




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